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mercoledì 30 novembre 2011

Lucio Magri



E' difficile affrontare tematiche collegate alla morte da suicidio, magari di persone conosciute. Ho ammirato la saggezza di Vittorio FELTRI che traspare da questo pezzo.

di Vittorio FELTRI
Noi di una certa età abbia­mo un privilegio: quel­lo di ricordare ciò che i giovani non sanno o sanno po­co e confusamente. Ieri, quan­do ho letto sulla Repubblica che Lucio Magri era morto sui­cida in Svizzera, assistito da un medico amico in una struttura idonea a quel genere di pra­tica odiata dai cattoli­ci, il mio primo pen­siero è corso agli an­ni Cinquanta e Ses­santa, quando lui, Lucio, era democri­stiano e passeggiava lungo il Sentierone, a Berga­mo (città nella quale abitava), con un gruppo di amici del par­tito. Era un giovane avvenente, brillante, e molte ragazze se lo mangiavano con gli occhi.
Già. Magri cominciò la sua carriera politica nella Dc, an­che se non aveva le stigmate del baciapile orobico, forse perché originario di Ferrara. Evidente­mente era cattolico, come qua­si tutti i bergamaschi, di nasci­ta o di adozione, in quegli anni in cui l’odore dell’incenso e del fumo di candela sovrastava quello della polenta. Ma gli uo­mini per fortuna, o per disgra­zia, cambiano idea con facilità. Lucio la cambiò. E da virgul­to dello Scudocrociato, che gli avrebbe assicu­rato un futuro como­do e agiato, divenne un dirigente comuni­sta. Ma anche nel Pci assunse posizioni ereti­che e fu radiato con vari compagni, gente di qualche pe­so, tra cui Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Luigi Pin­tor. E fu con loro tra i fondatori del Manifesto, mensile divenuto quotidiano e movi­mento politico. Non spesso, ma a Bergamo egli tornava e si incontrava, ovviamen­te sul Sentierone, con vecchi com­pagni: Eliseo Milani, deputato del Pci e del Manifesto ( morto pu­re lui) e Carlo Leidi, notaio rosso (morto pure lui). Ecco la tragedia: avere buona memoria significa avere in testa una fila di lapidi. Una sera Leidi m’invitò a cena (nella sua cascina sobriamente restaurata) nonostante passassi per un avversario politico: ero considerato socialista perché di­rigevo Bergamo Oggi , foglio scapi­gliato e concorrente fastidioso del curiale Eco .
A tavola sedevano anche Lucio Magri ed Eliseo Milani, che cono­scevo superficialmente: qualche parola scambiata al Balzer, il loca­le all’epoca più frequentato. Mila­ni era burbero all’apparenza e, di fatto, un giocherellone. Magri era un tipo elegante,curioso,dall’elo­quio forbito: mi rivolse una raffi­ca d­i domande sul giornale che fa­cevo e sulla mia esperienza al Cor­riere. Poi la conversazione, domi­nata da Leidi, scivolò presto in po­litica. Argomento centrale: Craxi, il craxismo, la sinistra, Milano da bere. Le solite cose di quegli anni. Lucio mi sembrò, fra tutti, il più se­reno, distaccato, direi obiettivo. Non alzò mai la voce che, comun­que, tradiva una certa passionali­tà. Si concesse qualche digressio­ne improntata a pessimismo sul futuro della sinistra. Era scettico sulle possibilità dell’eurocomu­nismo e del compromesso stori­co di aprire una nuova strada poli­tica. Diciamo pure che era negati­vo su tutto ciò di cui discutevamo.
Complessivamente, Magri mi fece - per quel che cont a- una buo­na impressione. Lo rividi una mat­tina all’aeroporto, Orio al Serio, da cui decollammo per Roma. Fa­cemmo quattro chiacchiere che confermarono il mio giudizio su di lui: un gentiluomo, amabile e garbato. Adesso che lui è morto nel modo che sappiamo, immagi­no le polemiche, le riprovazioni, le condanne. Ne faremo indige­stione.
In questo nostro strambo Pae­se, dove i libertari si sono converti­ti al bigottismo, i postcomunisti amano il puritanesimo, la destra ex fascista si apparenta con la sinistra, e il confor­mismo è il denomi­natore comune di tutti quanti, non solo non si può più an­dare a donne ( perdonate l’espressione volgare e antiqua­ta: serve per capirsi al volo) ma nemmeno decidere come crepa­re. Vietato.Magri è stato un’ecce­zione, un vero ribelle che non pos­so nascondere di apprezzare, am­mirare. Si ribellò al piattume de­mocristiano quando la Dc era po­tente, si ribellò al Pci quando era al massimo del fulgore (chiun­que scommetteva sul trionfo del marxismo) e, coerentemente con la sua sublime incoerenza, si è ri­bellato all’idea che togliersi la vi­ta sia un sacrilegio. Ma quale sa­crilegio? È una scelta. Deprecabi­le? Deprecate, deprecate, però non negate a una persona responsa­bile, lucida e con­s­apevole il dirit­to di porre fi­ne alle pro­prie sofferen­ze.
Ciò che non ho ancora det­to, ma mi affretto a farlo, è che Magri era depresso. Forse lo era sempre stato (qualche sintomo del mal di vivere forse lo avevo intuito in lui), di sicuro lo era di più dal giorno in cui la mo­glie, Mara, fu portata via da un tu­more. Come si fa a non compren­dere lo stato d’animo di un uomo che in 79 anni di vita ha visto sva­nire ogni sogno? Il partito cattoli­co è scomparso, il comunismo è fallito, il capitalismo fa schifo ma è ancora qui a far danni, la moglie non c’è, la giovinezza è sfiorita da lustri, il desiderio di combattere è scemato, il futuro è un vicolo cie­co e angusto: ma per quale moti­vo Lucio, non potendo più appog­giare la testa sul seno di Mara e sentirne il calore, avrebbe dovu­to stare qui ancora, magari fissan­do ore e ore il soffitto della stan­za? Perché avrebbe dovuto segui­tare a trascorrere notti e notti in­sonni tentando di respingere i te­tri pensieri che il cervello mette in circolo, sempre gli stessi, sem­pre più cupi e ossessivi? In attesa di chi e di che cosa? Del Natale? Della visita dei nipotini?Di un’al­tra malattia in aggiunta alla de­pressione che, se ti piglia, t’am­mazza dentro, dopo averti strap­pato anche il desiderio di un caffè e di respirare l’aria fredda del mat­tino?
Immagino il rovello di Lucio. Vado in Svizzera a farla finita? Massì. Vado. Poi, quando sarà ar­rivato lì la prima volta, avrà avuto paura: non di morire, questo no, ma del protocollo da rispettare per fare il salto nel nulla liberato­rio. E sarà tornato sui suoi passi. Ma il tormento non gli avrà da­to tregua. Cosicché, altro viaggio in Svizzera. E avrà recuperato la forza di bere il calice della morte, mentre i medici lo idratavano per rendere meno aspro il sorso del­l’addio. Non pietà, onore a Lucio Magri.