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martedì 12 febbraio 2013

Le dimissioni di Benedetto XVI ed il relativismo clericale


Alla fine sua Santità ha dismesso le vesti, ha rinunciato all'enunciato di infallibilità papale, per rientrare in quel mondo meno celestiale e più umano di pastore e reggente di dottrina.
Si troverà pure un aspetto faceto, ma colui che ha speso una vita nella difesa della fede e della dottrina, che ha combattuto con il pensiero e le azioni e quell'inammissibile deriva etica del relativismo, alla fine è stato vittima illustre di un relativismo di stato, quello Vaticano.
Sosteneva POPPER «..tutta la conoscenza rimane fallibile, congetturale. Non esiste nessuna giustificazione, compresa, beninteso, nessuna giustificazione definitiva di una confutazione. Tuttavia, noi impariamo attraverso confutazioni, cioè attraverso l'eliminazione di errori [...]. La scienza è fallibile perché la scienza è umana.», se noi con azzardata forzatura ipotizziamo come tale enunciato appare sovrapponibile alla gestione di fede e dottrina, a quel principio di verità assoluta, il tutto viene miseramente a smaterializzarsi nella confutazione coi metodi pratici di principi assoluti, per mano di uomini custodi delle chiavi di Pietro ad una mano e delle chiavi di un forziere dall'altra.
E' la condizione di miseria umana, terrena e perfettibile, che macchia di nefando ed abietto il più candido ideale filosofico, che disgrega per ideali egoistici ed affaristici le migliori dottrine che promettono paradisi e redenzioni.
«Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» sostiene Benedetto XVI, forse mal valutando i limiti terreni a verità sovrumane, principi divini scritti da uomini e ritrasmessi da uomini per uso di altri uomini.
Quindi si promuove una società dove autodeterminazione e bisogno di identità diventano il male oscuro, il limite da non scavalcare per non cadere nell'eresia del relativismo.
Ebbene tutto alla fine però si ricongiunge verso il principio dell'apprendimento per tentativi ed errori che un dio non potrebbe tollerare, dove le ricette ed i poteri magici sono argomenti da sognatori, mentre noi poveri pragmatici assistiamo allo sfascio della gestione del più grande monumento mondiale di fede e dottrina.
Quel mondo perfetto fatto da anime e pastori diventa una società liquida baumaniana, dove tutto è il prodotto di risulta di se stesso, dove il capitano abbandona la nave che viaggia alla deriva.
Cedere in questo caso vuole dire rinunciare al proprio status di infallibilità per rimettersi al giudizio degli uomini, sapendo di avere fatto con coscienza il proprio dovere.
L'Italia ha molto da imparare da Benedetto XVI, i nostri politici e dirigenti dovrebbero chinarsi in modo cavalleresco a tale coraggio di medioevale memoria, capire che il bene di gruppo è primario al bene del singolo, che per salvare l'identità di uno stato si può anche “morire”, non da eroi o da santi, ma da capitani coraggiosi.