Alla fine sua Santità ha dismesso le
vesti, ha rinunciato all'enunciato di infallibilità papale,
per rientrare in quel mondo meno celestiale e più umano di pastore e
reggente di dottrina.
Si troverà pure un aspetto faceto, ma
colui che ha speso una vita nella difesa della fede e della dottrina,
che ha combattuto con il pensiero e le azioni e quell'inammissibile
deriva etica del relativismo, alla fine è stato vittima illustre di
un relativismo di stato, quello Vaticano.
Sosteneva POPPER «..tutta la
conoscenza rimane fallibile, congetturale. Non esiste nessuna
giustificazione, compresa, beninteso, nessuna giustificazione
definitiva di una confutazione. Tuttavia, noi impariamo attraverso
confutazioni, cioè attraverso l'eliminazione di errori [...]. La
scienza è fallibile perché la scienza è umana.», se noi con
azzardata forzatura ipotizziamo come tale enunciato appare
sovrapponibile alla gestione di fede e dottrina, a quel principio di
verità assoluta, il tutto viene miseramente a smaterializzarsi nella
confutazione coi metodi pratici di principi assoluti, per mano di
uomini custodi delle chiavi di Pietro ad una mano e delle chiavi di
un forziere dall'altra.
E' la condizione di miseria umana,
terrena e perfettibile, che macchia di nefando ed abietto il più
candido ideale filosofico, che disgrega per ideali egoistici ed
affaristici le migliori dottrine che promettono paradisi e
redenzioni.
«Si va costituendo una dittatura
del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia
come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» sostiene
Benedetto XVI, forse mal valutando i limiti terreni a verità
sovrumane, principi divini scritti da uomini e ritrasmessi da uomini
per uso di altri uomini.
Quindi si promuove una società dove
autodeterminazione e bisogno di identità diventano il male oscuro,
il limite da non scavalcare per non cadere nell'eresia del
relativismo.
Ebbene tutto alla fine però si
ricongiunge verso il principio dell'apprendimento per tentativi ed
errori che un dio non potrebbe tollerare, dove le ricette ed i poteri
magici sono argomenti da sognatori, mentre noi poveri pragmatici
assistiamo allo sfascio della gestione del più grande monumento
mondiale di fede e dottrina.
Quel mondo perfetto fatto da anime e
pastori diventa una società liquida baumaniana, dove tutto è il
prodotto di risulta di se stesso, dove il capitano abbandona la nave
che viaggia alla deriva.
Cedere in questo caso vuole dire rinunciare
al proprio status di infallibilità per rimettersi al giudizio degli
uomini, sapendo di avere fatto con coscienza il proprio dovere.
L'Italia ha molto da imparare da
Benedetto XVI, i nostri politici e dirigenti dovrebbero chinarsi in
modo cavalleresco a tale coraggio di medioevale memoria, capire che
il bene di gruppo è primario al bene del singolo, che per salvare
l'identità di uno stato si può anche “morire”, non da eroi o da
santi, ma da capitani coraggiosi.