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il mio blog è come la mia casa, chi vi entra sa di poter trovare accoglienza e conforto, ma con la spada vigile che protegge dal male.
martedì 12 novembre 2013
Il Fallimento della Psichiatria
tratto da http://www.anticorpi.info/
Nella nostra società gli addetti alla cura della malattia mentale sono gli psichiatri. Questi professionisti, sebbene abbiano seguito un percorso di studi ed una formazione in tutto e per tutto equivalente a quella degli altri medici (addetti alla cura del corpo), vengono da questi ultimi considerati medici di seconda categoria. E' notorio ma non è un aspetto casuale, bensì la proiezione del c.d. “dogma biomedico” nelle relazioni fra tipi di addetti alla cura.
Nel dogma infatti si professa che i meccanismi biologici siano la base della vita, gli “eventi mentali” invece sono solo successivi rispetto a questi e dunque vanno posti insubordine. Fa d'uopo che i medici che si occupano di eventi mentali siano soltanto professionisti di “serie b”?! Mettiamola così.
Nel dogma infatti si professa che i meccanismi biologici siano la base della vita, gli “eventi mentali” invece sono solo successivi rispetto a questi e dunque vanno posti insubordine. Fa d'uopo che i medici che si occupano di eventi mentali siano soltanto professionisti di “serie b”?! Mettiamola così.
Come hanno reagito gli psichiatri dinanzi a questa situazione frutto di un fondamento apparentemente ineludibile della suprema scienza medica? Semplice: cercando di aderirvi il più possibile! Per lo meno: la maggior parte degli psichiatri - pena il fatto, meschino ai loro occhi, di doversi sentire non più dei “veri scienziati” che si sarebbero occupati di fatti, ma solo di inafferrabili eventi - ha deciso di andare nella direzione suggeritagli dai colleghi. Alcune fazioni minoritarie invece hanno preferito rimanere in disparte, qualcuno col punto interrogativo stampato sulla fronte, altri invece semplicemente smarriti.
Così, la maggioranza degli psichiatri si son rimboccati le maniche per ridefinire la malattia mentale come il risultato dell'ennesima forma di disorganizzazione di certi meccanismi fisiologici, biochimici, che alla fine incidono sull'organo cervello, anziché sull'organo cuore, o milza o fegato che sia.
In questo senso dunque, la malattia mentale è uguale a quella fisica, soltanto che agisce sul cervello, anziché su un altro organo. I sintomi cardiaci e quelli mentali sono solo sintomi di due tipi di malattie diverse che comunque originano da un disordine nelle nostre cellule e molecole. Il microscopio, secondo loro, accorrerebbe lesto ad attestarlo.
Questo, che in realtà è un mero svilimento concettuale, ha prodotto una situazione curiosa. Infatti, quelli che la notabile scienza medica definisce “guaritori” operano con tecniche diciamo psicologiche persino su malattie fisiche. Gli psichiatri invece si son messi ad utilizzare gli stessi sistemi di cura dei colleghi del corpo, per guarire le turbe mentali!
Il cd “orientamento organico” della psichiatria ha cioè trapiantato i concetti prima, ed i metodi poi, della medicina che cura il corpo. Non solo, ma ci si è sforzati di creare un forte sistema di classificazione (riduzionista) nell'ambito dei mali della mente, per correlare in maniera inequivocabile specifici disturbi biochimici / fisiologici a determinati sintomi mentali, dunque malattie e relative diagnosi.
Ma la cosa bella è che questo approccio non ha dato affatto i risultati sperati, anzi, si può dire con certezza, senza timore di essere smentiti, che ha fallito quasi completamente. E, paradosso dei paradossi, continua però imperterrito ad essere largamente applicato?!
Cosa fanno in soldoni oggi gli psichiatri, per curare la malattia mentale? Lo stesso degli urologi, gli internisti, gli pneumologi, ecc: prescrivono farmaci. Questi farmaci però hanno come bersaglio i sintomi. Cioè cancellano o alleggeriscono i sintomi dei mali psicologici dei pazienti. Niente di più.
Il che è esattamente, dannatamente contro-terapeutico!
Se infatti si guarda alla salute della persona in un'ottica olistica, si sa bene che la malattia deriva da una cattiva o mancata valutazione di una esperienza / informazione, che la vita ci chiede di integrare. Il manifestarsi dei sintomi indica un tentativo, da parte dell'organismo, di indicarci un problema e una strada, un modo per superarlo ed acquisirlo nella nostra coscienza.
E la psichiatria, nel suo acquisito orientamento bio-medico, distrugge quei sintomi!
La vera terapia sarebbe quella di costituire in primo luogo un ambiente protetto ed armonioso per il paziente, in cui i suoi sintomi si possano manifestare in modo chiaro, persino in tutta la loro intensità. In quell'ambito un professionista potrebbe aiutarlo a realizzare quella integrazione di coscienza. Quel professionista dovrebbe essere un esperto delle manifestazioni dell'intero spettro umano della personalità. Ciò che accade invece è che nelle istituzioni in cui i pazienti vengono condotti, ci si ritrova dinanzi gli psichiatri che prescrivono i farmaci, mentre gli psicologi, che al limite avrebbero una preparazione ed un approccio chiaramente più adatto al problema, restano subordinati ai primi, avendo in quest'ambito una mera funzione ancillare.
In buona sostanza, l'estensione del modello biomedico ai problemi mentali è un mostruoso insuccesso, di cui non si vuole prendere atto. Se pure gli sforzi per creare un sistema diagnostico organico dei mali mentali giungesse ad un punto, esso sarebbe ugualmente inutile.
Perché, come detto, il problema mentale va affrontato con modelli psicologici.
La nozione di malattia senza un rapporto con la personalità del paziente, la sua famiglia, la società in cui vive, le sue convinzioni, l'ambiente, ecc è soltanto un mito, afferma il Prof Thomas Szasz, tra i più radicali contestatori del modello biochimico. Ed in questo senso, in quest'ottica, la malattia fisica e mentale sono la stessa cosa.
Solo che la ristretta cornice dell'attuale scienza medica lo trascende, per restare sul conveniente territorio degli alambicchi e delle provette. Territorio in cui l'uomo è giusto un insieme di cellule ed organi da bombardare con la chimica.
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martedì 20 agosto 2013
Miles Davis live at Isle of Wight
Che periodo magico il raduno all'isola di Wight, sarà una mia recente ripresa delle letture di KEROUAC ma sentire questa musica accende il mio lato "devil & bird"
buon ascolto
Signoraggio e banche, il primo nemico di Hitler
Hitler imitò il sistema monetario
di Lincolndi
Ellen Brown – tratto da http://www.altrainformazione.it/wp/la-fonte-del-potere-2/signoraggio-la-linfa-vitale-dei-poteri-forti/hitler-imito-il-sistema-monetario-di-lincoln/
“Non siamo stati così sciocchi
da creare una valuta collegata all’oro, di cui non abbiamo disponibilità,
ma per ogni marco stampato abbiamo richiesto l’equivalente di un marco in lavoro o in beni prodotti.
Ci viene da ridere tutte le volte che i nostri finanzieri nazionali sostengono che il valore della valuta
deve essere regolato dall’oro o da beni conservati nei forzieri della banca di stato“. (Adolf Hitler, citato in Hitler’s Monetary System, www.rense.com, che riprende C.C.Veith, Citadels of Chaos, Meador, 1949).
ma per ogni marco stampato abbiamo richiesto l’equivalente di un marco in lavoro o in beni prodotti.
Ci viene da ridere tutte le volte che i nostri finanzieri nazionali sostengono che il valore della valuta
deve essere regolato dall’oro o da beni conservati nei forzieri della banca di stato“. (Adolf Hitler, citato in Hitler’s Monetary System, www.rense.com, che riprende C.C.Veith, Citadels of Chaos, Meador, 1949).
Quello di
Guernsey (politico del Minnesota, ndr), non fu dunque l’unico governo a
risolvere i propri problemi infrastrutturali stampando da solo la propria
moneta. Un modello assai più noto si può trovarlo nella Germania uscita dalla
Prima Guerra Mondiale. Quando Hitler arrivò al potere, il Paese era
completamente, disperatamente, in rovina.
Il Trattato di Versailles aveva imposto al popolo tedesco risarcimenti che lo avevano distrutto, con i quali si intendeva rimborsare i costi sostenuti nella partecipazione alla guerra per tutti i Paesi belligeranti. Costi che ammontavano al triplo del valore di tutte le proprietà esistenti nella Germania. La speculazione sul marco tedesco aveva provocato il suo crollo, affrettando l’evento di uno dei fenomeni d’inflazione più rovinosi della modernità. Al suo apice, una carriola piena di banconote, per l’equivalente di 100 miliardi di marchi, non bastava a comprare nemmeno un tozzo di pane. Le casse dello Stato erano vuote ed enormi quantità di case e di fattorie erano state sequestrate dalle banche e dagli speculatori. La gente viveva nelle baracche e moriva di fame. Nulla di simile era mai accaduto in precedenza: la totale distruzione di una moneta nazionale, che aveva spazzato via i risparmi della gente, le loro attività e l’economia in generale. A peggiorare le cose arrivò, alla fine del decennio, la depressione globale. La Germania non poteva far altro che soccombere alla schiavitù del debito e agli strozzini internazionali. O almeno così sembrava.
Il Trattato di Versailles aveva imposto al popolo tedesco risarcimenti che lo avevano distrutto, con i quali si intendeva rimborsare i costi sostenuti nella partecipazione alla guerra per tutti i Paesi belligeranti. Costi che ammontavano al triplo del valore di tutte le proprietà esistenti nella Germania. La speculazione sul marco tedesco aveva provocato il suo crollo, affrettando l’evento di uno dei fenomeni d’inflazione più rovinosi della modernità. Al suo apice, una carriola piena di banconote, per l’equivalente di 100 miliardi di marchi, non bastava a comprare nemmeno un tozzo di pane. Le casse dello Stato erano vuote ed enormi quantità di case e di fattorie erano state sequestrate dalle banche e dagli speculatori. La gente viveva nelle baracche e moriva di fame. Nulla di simile era mai accaduto in precedenza: la totale distruzione di una moneta nazionale, che aveva spazzato via i risparmi della gente, le loro attività e l’economia in generale. A peggiorare le cose arrivò, alla fine del decennio, la depressione globale. La Germania non poteva far altro che soccombere alla schiavitù del debito e agli strozzini internazionali. O almeno così sembrava.
Hitler e i
Nazional-Socialisti, che arrivarono al potere nel 1933, si opposero al cartello
delle banche internazionali iniziando a stampare la propria moneta. In questo
presero esempio da Abraham Lincoln, che aveva finanziato la Guerra Civile
Americana con banconote stampate dallo Stato, che venivano chiamate
“Greenbacks“. Hitler iniziò il suo programma di credito nazionale elaborando un
piano di lavori pubblici. I progetti destinati a essere finanziati comprendevano
le infrastrutture contro gli allagamenti, la ristrutturazione di edifici
pubblici e case private e la costruzione di nuovi edifici, strade, ponti, canali
e strutture portuali. Il costo di tutti questi progetti fu fissato a un miliardo
di di unità della valuta nazionale. Un miliardo di biglietti di cambio non
inflazionati, chiamati Certificati Lavorativi del Tesoro. Questa moneta stampata
dal governo non aveva come riferimento l’oro, ma tutto ciò che possedeva un
valore concreto. Essenzialmente si trattava di una ricevuta rilasciata in cambio
del lavoro e delle opere che venivano consegnate al governo. Hitler diceva: “Per
ogni marco che viene stampato, noi abbiamo richiesto l’equivalente di un marco
di lavoro svolto o di beni prodotti“. I lavoratori spendevano poi i certificati
in altri beni e servizi, creando lavoro per altre persone.
Nell’arco
di due anni, il problema della disoccupazione era stato risolto e il Paese si
era rimesso in piedi. Possedeva una valuta solida e stabile, niente debito,
niente inflazione, in un momento in cui negli Stati Uniti e in altri Paesi
occidentali erano ancora senza lavoro e vivevano di assistenza. La Germania
riuscì anche a ripristinare i suoi commerci con l’estero, nonostante le banche
estere negassero credito e dovesse fronteggiare un boicottaggio economico
internazionale. Ci riuscì utilizzando il sistema del baratto: beni e servizi
venivano scambiati direttamente con gli altri paesi, aggirando le banche
internazionali. Questo sistema di scambio diretto avveniva senza creare debito
nè deficit commerciale. L’esperimento economico della Germania lasciò alcuni
durevoli monumenti al suo processo, come la famosa Autobahn, la prima rete del
mondo di autostrade a larga estensione.
Di Hjalmar
Schacht, che era all’epoca a capo della banca centrale tedesca, viene spesso
citato un motto che riassume la versione tedesca del miracolo del “Greenback”.
Un banchiere americano gli aveva detto: “Dottor Schacht, lei dovrebbe venire
in America. Lì abbiamo un sacco di denaro ed è questo il vero modo di gestire un
sistema bancario“. Schacht replicò: “Lei dovrebbe venire a Berlino. Lì
non abbiamo denaro. E’ questo il vero modo di gestire un sistema bancario”
(John Weitz, Hitler’s Banker Warner Books, 1999).
Benchè
Hitler sia citato con infamia nei libri di storia, egli fu popolare presso il
popolo tedesco. Stephen Zarlenga, in The Lost Science of Money, afferma
che ciò era dovuto al fatto che egli salvò la Germania dalle teorie economiche
inglesi. Le teorie secondo le quali il denaro deve essere scambiato sulla base
delle riserve aurifere in possesso di un cartello di banche private piuttosto
che stampato direttamente dal governo. Secondo il ricercatore canadese Henry
Makow, questo fu probabilmente il motivo principale per cui Hitler doveva essere
fermato; egli era riuscito a scavalcare i banchieri internazionali e creare una
propria moneta. Makow cita un interrogatorio del 1938 di C.G. Rakowsky, uno dei
fondatori del bolscevismo sovietico e intimo di Trotzky, che finì sotto processo
nell’URSS di Stalin. Secondo Rakowsky, “[Hitler] si era impadronito del
privilegio di fabbricare il denaro, e non solo il denaro fisico, ma anche quello
finanziario; si era impadronito dell’intoccabile meccanismo della falsificazione
e lo aveva messo a lavoro per il bene dello Stato. Se questa situazione fosse
arrivata a infettare anche altri Stati, potete ben immaginare le implicazioni
controrivoluzionarie” (Henry Makow, “Hitler Did Not Want War”,
www.savethemales.com).
L’economista
inglese Henry C.K. Liu ha scritto sull’incredibile trasformazione tedesca: “I
nazisti arrivarono al potere in Germania nel 1933, in un momento in cui
l’economia era al collasso totale, con rovinosi obblighi di risarcimento
postbellico e zero prospettive per il credito e gli investimenti stranieri.
Eppure, attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un
programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, il Terzo Reich
riuscì a trasformare una Germania in bancarotta, privata perfino di colonie da
poter sfruttare, nell’economia più forte d’Europa, in soli quattro anni, ancor
prima che iniziassero le spese per gli armamenti“. In Billions for the
Bankers, Debts for the People (Miliardi per le Banche, Debito per i
Popoli, 1984), Sheldon Hemry commenta: “Dal 1935 in poi, la Germania iniziò
a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi, ed è questo che
spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza
mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le
operazioni belliche, dal 1935 al 1945, senza aver bisogno di oro nè debito, e fu
necessaria l’unione di tutto il mondo capitalista e comunista per distruggere il
potere della Germania sull’Europa e riportare l’Europa sotto il tallone dei
banchieri“.
L’IPERINFLAZIONE DI WEIMAR
Nei testi moderni si parla della disastrosa inflazione che colpì nel 1923 la Repubblica di Weimar (nome con cui è conosciuta la repubblica che governò la Germania dal 1919 al 1933). La radicale svalutazione del marco tedesco è citata nei testi come esempio di ciò che può accadere quando ai governi viene conferito il potere incontrollato di stampare da soli la propria moneta. Questo è il motivo per cui viene citata, ma nel complesso mondo dell’economia le cose non sono come sembrano. La crisi finanziaria di Weimar ebbe inizio con gli impossibili obblighi di risarcimento imposti dal Trattato di Versailles.
Nei testi moderni si parla della disastrosa inflazione che colpì nel 1923 la Repubblica di Weimar (nome con cui è conosciuta la repubblica che governò la Germania dal 1919 al 1933). La radicale svalutazione del marco tedesco è citata nei testi come esempio di ciò che può accadere quando ai governi viene conferito il potere incontrollato di stampare da soli la propria moneta. Questo è il motivo per cui viene citata, ma nel complesso mondo dell’economia le cose non sono come sembrano. La crisi finanziaria di Weimar ebbe inizio con gli impossibili obblighi di risarcimento imposti dal Trattato di Versailles.
Schacht, che
all’epoca era il responsabile della zecca della repubblica, si lamentava: “Il
Trattato di Versailles è un ingegnoso sistema di provvedimenti che hanno per
fine la distruzione economica della Germania. Il Reich non è riuscito a trovare
un sistema per tenersi a galla diverso dall’espediente inflazionistico di
continuare a stampare banconote“. Questo era quello che egli dichiarava
all’inizio. Ma Zarlenga scrive che Schacht, nel suo libro del 1967 The Magic of
Money, decise “di tarar fuori la verità, scrivendo in lingua tedesca alcune
notevoli rivelazioni che fanno a pezzi la saggezza comune propagandata dalla
comunità finanziaria riguardo all’iperinflazione tedesca“. Schacht rivelò che
era la Banca del Reich, posseduta da privati, e non il governo tedesco che
pompava nuova valuta all’economia. Nel meccanismo finanziario conosciuto come
vendita a breve termine, gli speculatori prendono in prestito qualcosa che non
possiedono, la vendono e poi “coprono” le spese ricomprandola a prezzo
inferiore. La speculazione sul marco tedesco fu resa possibile dal fatto che la
Banca del Reich rendeva disponibili massicce quantità di denaro liquido per i
prestiti, marchi che venivano creati dal nulla annotando entrate sui registri
bancari e poi prestati ad interessi vantaggiosi.
Quando la
Banca del Reich non riuscì più a far fronte alla vorace richiesta di marchi, ad
altre banche private fu permesso di crearli dal nulla e di prestarli, a loro
volta, a interesse. Secondo Schacht, quindi, non solo non fu il governo a
provocare l’iperinflazione di Weimar, ma fu proprio il governo che la tenne
sotto controllo. Alla Banca del Reich furono imposti severi regolamenti
governativi e vennero prese immediate misure correttive per bloccare le
speculazioni straniere, eliminando la possibilità di facile accesso ai prestiti
del denaro fabbricato dalle banche. Hitler poi rimise in sesto il paese con i
suoi Certificati del Tesoro, stampati dal governo su modello del Greenback
americano. Schacht rovava l’emissione di moneta da parte del governo e fu
rimosso dal suo incarico alla Banca del Reich quando si rifiutò di sostenerlo
(cosa che probabilmente lo salvò dal processo di Norimberga). Ma nelle sue
memorie più tarde, egli dovette riconoscere che consentire al governo di
stampare la moneta di cui aveva bisogno non aveva prodotto affatto l’inflazione
prevista dalla teoria economica classica. Teorizzò che essa fosse dovuta al
fatto che le fattorie erano ancora inoperose e la gente senza lavoro. In questo
si trovò d’accordo con John Maynard Keynes: quando le risorse per incrementare
la produzione furono disponibili, aggiungere liquidità all’economia non provocò
affatto l’aumento dei prezzi; provocò invece la crescita dei beni e di servizi.
Offerta e domanda crebbero di pari passo, lasciando i prezzi inalterati.
(da Webofdebt)
(da Webofdebt)
di
Ellen
Italietta
Femminicidio: la nuova legge approva alla
Camera ma i delitti non sono in aumento e in Europa si uccide più che in
ItaliaFurio
Stella per www.disinformazione.it – 20 agosto
2013 - effervescienza@yahoo.it
Il decreto
legge sul femminicidio approda (oggi) alla Camera per la sua approvazione. Sul
tavolo, il pacchetto di nuove norme varate d’urgenza dal governo che prevedono
pene più severe (arresti in flagranza, querela irrevocabile, aggravanti per
coniuge e compagno anche non conviventi, etc.) per contrastare l’ondata di
delitti, praticamente uno ogni tre giorni, che dall’inizio dell’anno hanno una
donna come vittima.
Sul fenomeno - omicidi efferati, dunque particolarmente odiosi e inaccettabili in un contesto civile - si sono mobilitati in tanti. Peccato che in tanta mobilitazione sia mancato l’elemento più importante sul piano dell’informazione, e cioè i dati.
Sul fenomeno - omicidi efferati, dunque particolarmente odiosi e inaccettabili in un contesto civile - si sono mobilitati in tanti. Peccato che in tanta mobilitazione sia mancato l’elemento più importante sul piano dell’informazione, e cioè i dati.
Il ministero
dell’Interno, che sarebbe il primo deputato a fornirne, non ne ha. Il chè è già
un dato preoccupante. Quei pochi che ci sono provengono o da data-base
giornalistici, o dall’Istat (ma sono fermi al 2009), o da qualche istituto di
ricerca indipendente come l’Eures. Pochi ma buoni? Se sì, è sorprendente come i
dati a disposizione dicano cose diverse da quella che è la percezione del
fenomeno. Nel senso che, nonostante quello che possa far supporre
l’amplificazione data dai media, non è assolutamente vero che il 2013 (81 le
vittime dall’inizio dell’anno fino a oggi) sia una sorta di anno record per
quanto riguarda i femminicidi.
Né che
questi ultimi siano in qualche misura aumentati rispetto agli anni scorsi. Dai
giornali, difatti, si apprende che nel 2012 le donne uccise in Italia (nel 75%
dei casi dal partner o dall’ex partner, e al 63% fra le mura di casa) sono state
124, e 137 nel 2011. Secondo l’Istat, le cui statistiche coprono il periodo dal
1992 al 2009, i femminicidi sono passati da 186 (1992) a 131 (2009), il che
farebbe pensare a un fenomeno addirittura in calo.
In realtà
non è nemmeno così, perché nel periodo sono presenti oscillazioni che, secondo
l’Eures, vanno da 98 (i minimi storici di delitti verificatisi nel 2005 e nel
2007) ai 199 del 2000, anno record in negativo dell’ultimo ventennio. Insomma, a
spanne i dati indicano che si tratta di un fenomeno costante nel tempo, e con
una media che si attesta più o meno sui 120 casi l’anno, dunque 10 al mese.
Ossia circa dieci volte di meno delle donne suicide o dei morti sul lavoro, per
arginare i quali non risultano provvedimenti legislativi in
arrivo.
Detto
della differenza fra i fatti e la loro percezione - fenomeno sociologicamente
tutt’altro che nuovo quando si ha a che fare con il tam-tam di giornali e tv -
dai dati reali arriva un’altra fragorosa smentita, e cioè l’analisi secondo cui
alla base dell’ondata di femminicidi nel nostro paese ci sia il maschilismo
degli italiani. Frutto, sempre secondo la vulgata, non solo di mamme
iperprotettive o castranti, ma più in generale di una società maschilista (la
pubblicità osèe, la donna oggetto, le discriminazioni sul lavoro) ancora
imbevuta di quella non-cultura per la quale per esempio fino al 1981 era ancora
valido nel nostro codice penale il delitto d’onore che di fatto “derubricava”
l’uccisione del partner fedifrago con pene da 3 fino a un massimo di 7 anni
(praticamente come dare fuoco a uno scooter…).
Oddio, il discorso in
generale è vero, se è vero che sono un milione e mezzo le donne italiane che
hanno denunciato violenze dei loro partner, e che secondo magistratura e forze
dell’ordine rappresenterebbero solo la punta dell’iceberg (il 6-7%) delle
violenze di genere. E’ anche vero però che se paragoniamo l’Italia con gli altri
paesi europei, i dati dicono un’altra cosa. E cioè che si uccidono molte più
donne in Francia, in Germania e anche nella Svezia culla dell’emancipazione
femminile. Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, difatti in
Germania negli anni Ottanta i femminicidi erano il doppio che in Italia. Mentre
il paese europeo dove si ammazzano più donne è di gran lunga sapete chi? La
Finlandia, in media 4-5 volte più che da noi. E dove, sempre in proporzione al
numero degli abitanti, vantano anche il poco esaltante record europeo degli
omicidi maschili. Dal che si deduce: o il maschio italiano non è affatto
maschilista. O, se lo è, lo è meno dei suoi colleghi europei
martedì 12 febbraio 2013
Le dimissioni di Benedetto XVI ed il relativismo clericale
Alla fine sua Santità ha dismesso le
vesti, ha rinunciato all'enunciato di infallibilità papale,
per rientrare in quel mondo meno celestiale e più umano di pastore e
reggente di dottrina.
Si troverà pure un aspetto faceto, ma
colui che ha speso una vita nella difesa della fede e della dottrina,
che ha combattuto con il pensiero e le azioni e quell'inammissibile
deriva etica del relativismo, alla fine è stato vittima illustre di
un relativismo di stato, quello Vaticano.
Sosteneva POPPER «..tutta la
conoscenza rimane fallibile, congetturale. Non esiste nessuna
giustificazione, compresa, beninteso, nessuna giustificazione
definitiva di una confutazione. Tuttavia, noi impariamo attraverso
confutazioni, cioè attraverso l'eliminazione di errori [...]. La
scienza è fallibile perché la scienza è umana.», se noi con
azzardata forzatura ipotizziamo come tale enunciato appare
sovrapponibile alla gestione di fede e dottrina, a quel principio di
verità assoluta, il tutto viene miseramente a smaterializzarsi nella
confutazione coi metodi pratici di principi assoluti, per mano di
uomini custodi delle chiavi di Pietro ad una mano e delle chiavi di
un forziere dall'altra.
E' la condizione di miseria umana,
terrena e perfettibile, che macchia di nefando ed abietto il più
candido ideale filosofico, che disgrega per ideali egoistici ed
affaristici le migliori dottrine che promettono paradisi e
redenzioni.
«Si va costituendo una dittatura
del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia
come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» sostiene
Benedetto XVI, forse mal valutando i limiti terreni a verità
sovrumane, principi divini scritti da uomini e ritrasmessi da uomini
per uso di altri uomini.
Quindi si promuove una società dove
autodeterminazione e bisogno di identità diventano il male oscuro,
il limite da non scavalcare per non cadere nell'eresia del
relativismo.
Ebbene tutto alla fine però si
ricongiunge verso il principio dell'apprendimento per tentativi ed
errori che un dio non potrebbe tollerare, dove le ricette ed i poteri
magici sono argomenti da sognatori, mentre noi poveri pragmatici
assistiamo allo sfascio della gestione del più grande monumento
mondiale di fede e dottrina.
Quel mondo perfetto fatto da anime e
pastori diventa una società liquida baumaniana, dove tutto è il
prodotto di risulta di se stesso, dove il capitano abbandona la nave
che viaggia alla deriva.
Cedere in questo caso vuole dire rinunciare
al proprio status di infallibilità per rimettersi al giudizio degli
uomini, sapendo di avere fatto con coscienza il proprio dovere.
L'Italia ha molto da imparare da
Benedetto XVI, i nostri politici e dirigenti dovrebbero chinarsi in
modo cavalleresco a tale coraggio di medioevale memoria, capire che
il bene di gruppo è primario al bene del singolo, che per salvare
l'identità di uno stato si può anche “morire”, non da eroi o da
santi, ma da capitani coraggiosi.
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sabato 26 gennaio 2013
Grillo - discorso all'umanità
ERA IL 1998!!!!
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venerdì 11 gennaio 2013
Berlusconi vs Santoro&Travaglio
Normalmente non guardo programmi contenitore che parlano di politica, figuriamoci poi se condotto da Michele SANTORO, ma ieri ho deciso di fare una variante in quanto volevo godermi il match tra il nonno resuscitato e il fanghista Santoro con i suoi valletti.
Innanzi tutto mi sono divertito da impazzire, credo di avere riso almeno quanto "Recital" di GUZZANTI, e sono andato a letto dopo mezzanotte come se avessi finito una divertente tombolata!
Sul piano dei contenuti politici dei vari interventi, premetto ma chi ca...o se ne frega, tanto le campagne elettorali sono quei momenti in cui ti vendi pure la moglie pur di avere lo scanno del potere, quindi tendo a dare poco spessore alle dichiarazioni programmatiche o ai rilanci e ribassi delle promesse infime e bastarde.
Quindi quello che mi interessava e mi ha appassionato è stato l'aspetto comunicativo puro, l'aspetto emotivo dei personaggi sul palco e le reazioni che si susseguivano.
L'apertura di SANTORO è stata di pura retorica, facendo capire che il bene primario della puntata sarebbe stata verità e giustizia, non era certo un bancone della macelleria, e l'introduzione del berlusca è stata pacata con una continua ricerca da ambo le parti di prendere il polso dell'altro.
BERLUSCONI era molto teso, soffriva nella sedia scomoda da esame universitario, ma soprattuto in attesa dei colpi di cannone parlava lo stretto necessario, non aprendosi sia fisicamente che intellettualmente.
SANTORO ha intelligentemente capito che così non si sarebbe andati avanti e la gente si sarebbe annoiata, ha iniziato a punzecchiare con pacata ironia il cavaliere, lo ha portato ad aprirsi e ad interpretare in senso positivo le domande fatte dalle due vallette, rassicurandolo nel fatto che nessuno lo metteva alla gogna, si trattava di fare un confronto costruttivo. Ed infatti la puntata ha iniziato a prendere colore e tono, si è creata una metrica nel dialogo che ha consentito di sbandierare luoghi comuni da ambo le parti, mettendo freno ad eventuali scivolate su discorsi precedentemente concordati quali off limits.
E poi arriva il pepe, quel TRAVAGLIO che dati alla mano riesce a mettere in imbarazzo chiunque, quel metodico cronista con la faccia tosta. E qui inizia la scivolata, avrebbe potuto affossarlo sul piano politico, avrebbe potuto intelligentemente dare di lama nelle lacune del duello tra governi e tra i partiti. Poteva tranquillamente pungere su tematiche quali incertezza, incoerenza, equilibrio che tuttora sono nervi scoperti del cavaliere.
Invece Marco pecca di come sempre di egocentrismo giornalistico, perché lui è bravo ma campa di storielle preconfezionate, non rende sul faccia a faccia. Ha sbandierato le solite notizie gossipare fritte e rifritte, il solito repertorio del fango che ha cavalcato per anni, leggendo un pezzo che non aveva età, poteva andare bene ieri o due anni fa.
Ovviamente pensavano che questo sarebbe stato il momento dell'ovazione antipremier, della disfatta finale e del consueto teatrino della figa e dell'inciuccio.
Invece quella vecchia volpe aveva in mano una velina preparata dai suoi stretti collaboratori, avvalorata da una pagina di Wikipedia quindi già di pubblico dominio e insindacabile, che sputtanava le altrettante malefatte di TRAVAGLIO. Che dire? Un colpo geniale, gli ha fatti secchi tutti!
Era da aspettarsi che un'apparizione studiata nei minimi dettagli con esperti della comunicazione e legali di alto livello non doveva permettere un atteggiamento ordinario e rilassato, anche SANTORO doveva per forza portare qualcosa di nuovo, mettere in scacco una vecchia volpe, invece nulla ...la solita solfa di sputtanamenti da mercato rionale!
Hanno messo qualche secondo per capire la portata del gancio destro, TRAVAGLIO ha iniziato a mordersi il labbro, ad abbassare gli occhi e a gesticolare in modo nervoso.
SANTORO cercava di sbirciare il foglio che il cavaliere teneva in mano in un tripudio di orgasmi nel vedere l'azione perfettamente riuscita, tentava di fermarne la lettura senza cadere nel censore e mantenendo la calma per non passare per macellaio.
Ma poi ha sbroccato, ha dato di matto ed ha perso le staffe guadagnandosi pure il rimprovero del berlusca.
Sarei curioso di avere una parere di uno psicologo della comunicazione sulle interpretazioni delle dinamiche durante le fasi finali della puntata.
Peraltro l'infingardo utilizza pure la coda di audio prima dello spegmimento del microfono per ammonire i giovani a non dare retta a quei due ......
Alla fine che resta? Un esempio di grande capacità comunicativa di BERLUSCONI e la conferma della sciatteria di SANTORO E TRAVAGLIO (scusate ma le valette non sono neanche degne di nota).
Resta il dubbio di fondo, a chi diamo la gestione di questa nostra Italia?
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giovedì 3 gennaio 2013
martedì 1 gennaio 2013
I PRETI E LE SCOLLACCIATE
tratto da:
http://www.pontifex.roma.it/
MONS. FUSI PECCI: CONDIVIDO LE TEORIE DI DON CORSI. LE DONNE VESTANO CON DIGNITÀ SENZA ESIBIZIONISMO. RIMETTERE CRISTO AL CENTRO
http://www.pontifex.roma.it/
MONS. FUSI PECCI: CONDIVIDO LE TEORIE DI DON CORSI. LE DONNE VESTANO CON DIGNITÀ SENZA ESIBIZIONISMO. RIMETTERE CRISTO AL CENTRO
Con Monsignor Odo Fusi Pecci, vescovo emerito di
Senigallia, parliamo del nuovo anno in arrivo. Eccellenza, che cosa si
aspetta? "spero e anzi auspico, che due valori fondamentali possano
essere messi al centro della nostra vita: libertà e amore. Per libertà
non si intende dire fare quello che vogliamo, ma libertà dal bisogno,
dalle tentazioni, dal peccato. Per l'amore chiedo carità, misericordia,
amore per il prossimo, che la pace abbia sempre la meglio, la tolleranza
sulla violenza che piaga la nostra società". Eppure abbiamo bisogno di
speranza: "la speranza é fondamentale. Senza quella virtù, la nostra
fede e la stessa carità, sarebbero inutili. Una società senza speranza é
destinata al declino. In questi tempi, a causa del secolarismo e del
relativismo, abbiamo poco alla volta, estromesso Cristo dalla nostra
vita. Il nostro obiettivo sia quello di ripristinare il primato di Dio,
rimetterlo al centro della nostra esistenza. Senza il riferimento a Dio
non si va lontano. ...
... Occorre riconoscere la centralità di Cristo nostro Signore".
Intanto é infuriata la polemica legata a don Corsi:
"la violenza va eliminata e non é mai giustificabile
contro nessuno, tanto meno verso le donne. Chi ricorre alla violenza, va
contro Dio. Tuttavia, alcune volte, le donne provocano, vestono e si
atteggiano con scarsa dignità e poca attenzione alla moralità, su questo
punto, condivido le teorie di don Corsi, che poi è quello che ha detto e
che richiama anche al concetto di corresponsabilità nello scandalo".
Bruno Volpe
COMMENTO: che tristezza, dopo 2013 anni dalla nascita di Christian figlio di Dior (questa è di CROZZA!), sentire queste parole già pesanti nel medioevo. Ma voi affidereste la cura della vostra anima a queste persone??? Forse dovrebbero mettere davvero dio al centro del loro mondo e non quella cosettina tipicamente femminile a cui pensano continuamente ed a cui hanno stabilito di dover rinunciare in quanto il sesso è materia del demonio.
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