tratto da Raporto Italia 2012 - documento di sintesi visionabile su www.eurispes.it
Vassalli, valvassori e valvassini. Siamo di fronte ad un generale senso di depressione che taglia trasversalmente tutte le classi sociali: i poveri perché vedono, giorno per giorno, allontanarsi la possibilità di poter migliorare la loro condizione economica e sociale; i ceti medi perché hanno sempre più timore di cadere nel baratro della povertà; i benestanti e i ricchi perché si sentono criminalizzati e hanno persino timore a mostrare i segni del proprio status e del proprio benessere, frutto, secondo la vulgata ormai corrente, di chissà quali nefandezze.
La sensazione è quella di un Paese bloccato, immobile, rassegnato, ripiegato su se stesso che non riesce a trovare la forza per reagire alla malattia, assistito da un nugolo di medici scarsamente dotati, nella migliore delle ipotesi, o interessati a che la malattia si protragga per continuare ad esercitare il proprio controllo sul malato, in quella peggiore. I medici sono la metafora della nostra classe dirigente generale, di quella classe che, come dice il nome, dovrebbe avere il compito ed il dovere di dirigere il Paese e avere cura del benessere dei suoi cittadini. Di quella classe che dovrebbe affrontare e risolvere i problemi, indicare la mèta, mettere a punto il progetto ed impegnarsi a realizzarlo, coinvolgendo i cittadini di ogni ordine e grado. Una classe dirigente che dovrebbe produrre buoni esempi e buone idee e farsi carico delle esigenze e dei bisogni generali e soprattutto di rappresentare nel migliore dei modi il Paese nel proscenio internazionale.
Utilizziamo la definizione di “classe dirigente generale” per ribadire, ancora una volta, che occorre uscire dall’equivoco, non del tutto innocente, che pretende di attribuire alla sola responsabilità della politica l’origine di tutti i mali che affliggono l’Italia. La politica ha grandi ed evidenti responsabilità, ma essa rappresenta solo una parte, e forse neppure quella decisiva, della “classe dirigente generale” alla quale sarebbe più corretto riferirsi. Sono classe dirigente i nostri “valorosi” imprenditori che talvolta trascurano gli aspetti sociali della loro vocazione e sono sempre pronti a delocalizzare, quando si presenta l’occasione di maggiori guadagni in paesi più o meno lontani dove la manodopera costa meno, le regole sono meno rigide e i diritti dei lavoratori sono spesso un optional. Sono classe dirigente tutti quegli illustri professori che pontificano con forti richiami all’etica e intanto pilotano concorsi e mandano in cattedra figli, nipoti, generi e nuore, e ci affliggono dalle pagine dei giornali parlando di cose che hanno solo letto sui libri scritti da chi ha
letto solo libri, ma non hanno mai messo piede dentro una fabbrica o fatto qualche lunga fila allo sportello di un qualsiasi ufficio della nostra Pubblica amministrazione e non hanno mai avuto il problema della quarta settimana.
Sono classe dirigente i nostri sindacalisti, proletari a parole e spesso radical-chic nei fatti, ancorati ad un mondo che non c’è più e che difendono con le unghie e con i denti. Più attenti a tutelare chi è già garantito che non a farsi carico delle attese di un popolo di precari senza alcuna prospettiva. Sono classe dirigente i manager delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese pubbliche e private che, mentre si tartassano i cittadini con redditi da sopravvivenza, incassano compensi da milioni e milioni di euro l’anno e laute liquidazioni. Sono classe dirigente i grandi commis dello Stato che dopo aver goduto nel corso della carriera, di stipendi d’oro e di innumerevoli benefit, mantengono privilegi di stampo feudale, anche ad anni di distanza dal pensionamento. Sono classe dirigente i magistrati e i giudici che di sovente sbagliano, ma hanno il vantaggio di non dovere rendere conto a nessuno. E capita spesso che alcuni di loro pretendano di affermare uno Stato etico, invece di perseguire l’etica dello Stato e utilizzino la loro notorietà per fini politici personali.
Sono classe dirigente, anzi lo sono ancora di più perché hanno il compito ed il dovere di raccontare la verità e di informare i cittadini, gli operatori dell’informazione talvolta troppo ligi e proni ai voleri della proprietà, pubblica o privata che sia, e che spesso deformano o ignorano la realtà quando questa non conviene. E, ma l’elenco potrebbe essere ancora lungo, sono classe dirigente anche coloro che fanno il nostro mestiere, i produttori di dati “primi”, quelli più delicati, che non disdegnano di piegare i numeri a seconda delle esigenze di chi comanda. Questa classe dirigente nel suo insieme è la vera responsabile dei ritardi, delle difficoltà, dei
problemi dell’Italia. Insomma, della crisi che stiamo vivendo e della quale tutti siamo chiamati, sia pure con ruoli e responsabilità diverse, a rispondere e a dover pagare il conto. Questa classe dirigente costituisce ormai un blocco solidale e separato dal resto del Paese e non ha nessuna intenzione di rinunciare, neppure in piccola parte, ai vantaggi e ai privilegi conquistati.
È una classe dirigente articolata sul modello feudale dei vassalli, dei valvassori e dei valvassini. Un sistema all’interno del quale tutto si tiene e tutto si conviene. Dove ogni corporazione sostiene l’altra, nella consapevolezza che la caduta dei privilegi dell’una produrrà inevitabilmente la sfortuna dell’altra.
Utilizziamo la definizione di “classe dirigente generale” per ribadire, ancora una volta, che occorre uscire dall’equivoco, non del tutto innocente, che pretende di attribuire alla sola responsabilità della politica l’origine di tutti i mali che affliggono l’Italia. La politica ha grandi ed evidenti responsabilità, ma essa rappresenta solo una parte, e forse neppure quella decisiva, della “classe dirigente generale” alla quale sarebbe più corretto riferirsi. Sono classe dirigente i nostri “valorosi” imprenditori che talvolta trascurano gli aspetti sociali della loro vocazione e sono sempre pronti a delocalizzare, quando si presenta l’occasione di maggiori guadagni in paesi più o meno lontani dove la manodopera costa meno, le regole sono meno rigide e i diritti dei lavoratori sono spesso un optional. Sono classe dirigente tutti quegli illustri professori che pontificano con forti richiami all’etica e intanto pilotano concorsi e mandano in cattedra figli, nipoti, generi e nuore, e ci affliggono dalle pagine dei giornali parlando di cose che hanno solo letto sui libri scritti da chi ha
letto solo libri, ma non hanno mai messo piede dentro una fabbrica o fatto qualche lunga fila allo sportello di un qualsiasi ufficio della nostra Pubblica amministrazione e non hanno mai avuto il problema della quarta settimana.
Sono classe dirigente i nostri sindacalisti, proletari a parole e spesso radical-chic nei fatti, ancorati ad un mondo che non c’è più e che difendono con le unghie e con i denti. Più attenti a tutelare chi è già garantito che non a farsi carico delle attese di un popolo di precari senza alcuna prospettiva. Sono classe dirigente i manager delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese pubbliche e private che, mentre si tartassano i cittadini con redditi da sopravvivenza, incassano compensi da milioni e milioni di euro l’anno e laute liquidazioni. Sono classe dirigente i grandi commis dello Stato che dopo aver goduto nel corso della carriera, di stipendi d’oro e di innumerevoli benefit, mantengono privilegi di stampo feudale, anche ad anni di distanza dal pensionamento. Sono classe dirigente i magistrati e i giudici che di sovente sbagliano, ma hanno il vantaggio di non dovere rendere conto a nessuno. E capita spesso che alcuni di loro pretendano di affermare uno Stato etico, invece di perseguire l’etica dello Stato e utilizzino la loro notorietà per fini politici personali.
Sono classe dirigente, anzi lo sono ancora di più perché hanno il compito ed il dovere di raccontare la verità e di informare i cittadini, gli operatori dell’informazione talvolta troppo ligi e proni ai voleri della proprietà, pubblica o privata che sia, e che spesso deformano o ignorano la realtà quando questa non conviene. E, ma l’elenco potrebbe essere ancora lungo, sono classe dirigente anche coloro che fanno il nostro mestiere, i produttori di dati “primi”, quelli più delicati, che non disdegnano di piegare i numeri a seconda delle esigenze di chi comanda. Questa classe dirigente nel suo insieme è la vera responsabile dei ritardi, delle difficoltà, dei
problemi dell’Italia. Insomma, della crisi che stiamo vivendo e della quale tutti siamo chiamati, sia pure con ruoli e responsabilità diverse, a rispondere e a dover pagare il conto. Questa classe dirigente costituisce ormai un blocco solidale e separato dal resto del Paese e non ha nessuna intenzione di rinunciare, neppure in piccola parte, ai vantaggi e ai privilegi conquistati.
È una classe dirigente articolata sul modello feudale dei vassalli, dei valvassori e dei valvassini. Un sistema all’interno del quale tutto si tiene e tutto si conviene. Dove ogni corporazione sostiene l’altra, nella consapevolezza che la caduta dei privilegi dell’una produrrà inevitabilmente la sfortuna dell’altra.