“Non siamo stati così sciocchi
da creare una valuta collegata all’oro, di cui non abbiamo disponibilità,
ma
per ogni marco stampato abbiamo richiesto l’equivalente di un marco in lavoro o
in beni prodotti.
Ci viene da ridere tutte le volte che i nostri finanzieri
nazionali sostengono che il valore della valuta
deve essere regolato
dall’oro o da beni conservati nei forzieri della banca di stato“.
(Adolf
Hitler, citato in Hitler’s Monetary System, www.rense.com, che riprende
C.C.Veith, Citadels of Chaos, Meador, 1949).
Quello di
Guernsey (politico del Minnesota, ndr), non fu dunque l’unico governo a
risolvere i propri problemi infrastrutturali stampando da solo la propria
moneta. Un modello assai più noto si può trovarlo nella Germania uscita dalla
Prima Guerra Mondiale. Quando Hitler arrivò al potere, il Paese era
completamente, disperatamente, in rovina.
Il Trattato di Versailles aveva
imposto al popolo tedesco risarcimenti che lo avevano distrutto, con i quali si
intendeva rimborsare i costi sostenuti nella partecipazione alla guerra per
tutti i Paesi belligeranti. Costi che ammontavano al triplo del valore di tutte
le proprietà esistenti nella Germania. La speculazione sul marco tedesco aveva
provocato il suo crollo, affrettando l’evento di uno dei fenomeni d’inflazione
più rovinosi della modernità. Al suo apice, una carriola piena di banconote, per
l’equivalente di 100 miliardi di marchi, non bastava a comprare nemmeno un tozzo
di pane. Le casse dello Stato erano vuote ed enormi quantità di case e di
fattorie erano state sequestrate dalle banche e dagli speculatori. La gente
viveva nelle baracche e moriva di fame. Nulla di simile era mai accaduto in
precedenza: la totale distruzione di una moneta nazionale, che aveva spazzato
via i risparmi della gente, le loro attività e l’economia in generale. A
peggiorare le cose arrivò, alla fine del decennio, la depressione globale. La
Germania non poteva far altro che soccombere alla schiavitù del debito e agli
strozzini internazionali. O almeno così sembrava.
Hitler e i
Nazional-Socialisti, che arrivarono al potere nel 1933, si opposero al cartello
delle banche internazionali iniziando a stampare la propria moneta. In questo
presero esempio da Abraham Lincoln, che aveva finanziato la Guerra Civile
Americana con banconote stampate dallo Stato, che venivano chiamate
“Greenbacks“. Hitler iniziò il suo programma di credito nazionale elaborando un
piano di lavori pubblici. I progetti destinati a essere finanziati comprendevano
le infrastrutture contro gli allagamenti, la ristrutturazione di edifici
pubblici e case private e la costruzione di nuovi edifici, strade, ponti, canali
e strutture portuali. Il costo di tutti questi progetti fu fissato a un miliardo
di di unità della valuta nazionale. Un miliardo di biglietti di cambio non
inflazionati, chiamati Certificati Lavorativi del Tesoro. Questa moneta stampata
dal governo non aveva come riferimento l’oro, ma tutto ciò che possedeva un
valore concreto. Essenzialmente si trattava di una ricevuta rilasciata in cambio
del lavoro e delle opere che venivano consegnate al governo. Hitler diceva: “Per
ogni marco che viene stampato, noi abbiamo richiesto l’equivalente di un marco
di lavoro svolto o di beni prodotti“. I lavoratori spendevano poi i certificati
in altri beni e servizi, creando lavoro per altre persone.
Nell’arco
di due anni, il problema della disoccupazione era stato risolto e il Paese si
era rimesso in piedi. Possedeva una valuta solida e stabile, niente debito,
niente inflazione, in un momento in cui negli Stati Uniti e in altri Paesi
occidentali erano ancora senza lavoro e vivevano di assistenza. La Germania
riuscì anche a ripristinare i suoi commerci con l’estero, nonostante le banche
estere negassero credito e dovesse fronteggiare un boicottaggio economico
internazionale. Ci riuscì utilizzando il sistema del baratto: beni e servizi
venivano scambiati direttamente con gli altri paesi, aggirando le banche
internazionali. Questo sistema di scambio diretto avveniva senza creare debito
nè deficit commerciale. L’esperimento economico della Germania lasciò alcuni
durevoli monumenti al suo processo, come la famosa Autobahn, la prima rete del
mondo di autostrade a larga estensione.
Di Hjalmar
Schacht, che era all’epoca a capo della banca centrale tedesca, viene spesso
citato un motto che riassume la versione tedesca del miracolo del “Greenback”.
Un banchiere americano gli aveva detto: “Dottor Schacht, lei dovrebbe venire
in America. Lì abbiamo un sacco di denaro ed è questo il vero modo di gestire un
sistema bancario“. Schacht replicò: “Lei dovrebbe venire a Berlino. Lì
non abbiamo denaro. E’ questo il vero modo di gestire un sistema bancario”
(John Weitz, Hitler’s Banker Warner Books, 1999).
Benchè
Hitler sia citato con infamia nei libri di storia, egli fu popolare presso il
popolo tedesco. Stephen Zarlenga, in The Lost Science of Money, afferma
che ciò era dovuto al fatto che egli salvò la Germania dalle teorie economiche
inglesi. Le teorie secondo le quali il denaro deve essere scambiato sulla base
delle riserve aurifere in possesso di un cartello di banche private piuttosto
che stampato direttamente dal governo. Secondo il ricercatore canadese Henry
Makow, questo fu probabilmente il motivo principale per cui Hitler doveva essere
fermato; egli era riuscito a scavalcare i banchieri internazionali e creare una
propria moneta. Makow cita un interrogatorio del 1938 di C.G. Rakowsky, uno dei
fondatori del bolscevismo sovietico e intimo di Trotzky, che finì sotto processo
nell’URSS di Stalin. Secondo Rakowsky, “[Hitler] si era impadronito del
privilegio di fabbricare il denaro, e non solo il denaro fisico, ma anche quello
finanziario; si era impadronito dell’intoccabile meccanismo della falsificazione
e lo aveva messo a lavoro per il bene dello Stato. Se questa situazione fosse
arrivata a infettare anche altri Stati, potete ben immaginare le implicazioni
controrivoluzionarie” (Henry Makow, “Hitler Did Not Want War”,
www.savethemales.com).
L’economista
inglese Henry C.K. Liu ha scritto sull’incredibile trasformazione tedesca: “I
nazisti arrivarono al potere in Germania nel 1933, in un momento in cui
l’economia era al collasso totale, con rovinosi obblighi di risarcimento
postbellico e zero prospettive per il credito e gli investimenti stranieri.
Eppure, attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un
programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, il Terzo Reich
riuscì a trasformare una Germania in bancarotta, privata perfino di colonie da
poter sfruttare, nell’economia più forte d’Europa, in soli quattro anni, ancor
prima che iniziassero le spese per gli armamenti“. In Billions for the
Bankers, Debts for the People (Miliardi per le Banche, Debito per i
Popoli, 1984), Sheldon Hemry commenta: “Dal 1935 in poi, la Germania iniziò
a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi, ed è questo che
spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza
mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le
operazioni belliche, dal 1935 al 1945, senza aver bisogno di oro nè debito, e fu
necessaria l’unione di tutto il mondo capitalista e comunista per distruggere il
potere della Germania sull’Europa e riportare l’Europa sotto il tallone dei
banchieri“.
L’IPERINFLAZIONE DI WEIMAR
Nei
testi moderni si parla della disastrosa inflazione che colpì nel 1923 la
Repubblica di Weimar (nome con cui è conosciuta la repubblica che governò la
Germania dal 1919 al 1933). La radicale svalutazione del marco tedesco è citata
nei testi come esempio di ciò che può accadere quando ai governi viene conferito
il potere incontrollato di stampare da soli la propria moneta. Questo è il
motivo per cui viene citata, ma nel complesso mondo dell’economia le cose non
sono come sembrano. La crisi finanziaria di Weimar ebbe inizio con gli
impossibili obblighi di risarcimento imposti dal Trattato di
Versailles.
Schacht, che
all’epoca era il responsabile della zecca della repubblica, si lamentava: “Il
Trattato di Versailles è un ingegnoso sistema di provvedimenti che hanno per
fine la distruzione economica della Germania. Il Reich non è riuscito a trovare
un sistema per tenersi a galla diverso dall’espediente inflazionistico di
continuare a stampare banconote“. Questo era quello che egli dichiarava
all’inizio. Ma Zarlenga scrive che Schacht, nel suo libro del 1967 The Magic of
Money, decise “di tarar fuori la verità, scrivendo in lingua tedesca alcune
notevoli rivelazioni che fanno a pezzi la saggezza comune propagandata dalla
comunità finanziaria riguardo all’iperinflazione tedesca“. Schacht rivelò che
era la Banca del Reich, posseduta da privati, e non il governo tedesco che
pompava nuova valuta all’economia. Nel meccanismo finanziario conosciuto come
vendita a breve termine, gli speculatori prendono in prestito qualcosa che non
possiedono, la vendono e poi “coprono” le spese ricomprandola a prezzo
inferiore. La speculazione sul marco tedesco fu resa possibile dal fatto che la
Banca del Reich rendeva disponibili massicce quantità di denaro liquido per i
prestiti, marchi che venivano creati dal nulla annotando entrate sui registri
bancari e poi prestati ad interessi vantaggiosi.
Quando la
Banca del Reich non riuscì più a far fronte alla vorace richiesta di marchi, ad
altre banche private fu permesso di crearli dal nulla e di prestarli, a loro
volta, a interesse. Secondo Schacht, quindi, non solo non fu il governo a
provocare l’iperinflazione di Weimar, ma fu proprio il governo che la tenne
sotto controllo. Alla Banca del Reich furono imposti severi regolamenti
governativi e vennero prese immediate misure correttive per bloccare le
speculazioni straniere, eliminando la possibilità di facile accesso ai prestiti
del denaro fabbricato dalle banche. Hitler poi rimise in sesto il paese con i
suoi Certificati del Tesoro, stampati dal governo su modello del Greenback
americano. Schacht rovava l’emissione di moneta da parte del governo e fu
rimosso dal suo incarico alla Banca del Reich quando si rifiutò di sostenerlo
(cosa che probabilmente lo salvò dal processo di Norimberga). Ma nelle sue
memorie più tarde, egli dovette riconoscere che consentire al governo di
stampare la moneta di cui aveva bisogno non aveva prodotto affatto l’inflazione
prevista dalla teoria economica classica. Teorizzò che essa fosse dovuta al
fatto che le fattorie erano ancora inoperose e la gente senza lavoro. In questo
si trovò d’accordo con John Maynard Keynes: quando le risorse per incrementare
la produzione furono disponibili, aggiungere liquidità all’economia non provocò
affatto l’aumento dei prezzi; provocò invece la crescita dei beni e di servizi.
Offerta e domanda crebbero di pari passo, lasciando i prezzi inalterati.
(da
Webofdebt)
di
Ellen